martedì 13 ottobre 2015

[Letti per voi] - Candido di Voltaire

Buongiorno a tutti car* lettori e followers, oggi vi parlerò di un libro speciale:

Candido, Voltaire


“Candido” di Voltaire – editrice: Newton Compton Editori –
edizione integrale – 2013 – 127 pp. – prezzo: 0.99 euro




Trama

Avventure e disavventure di Candido, ragazzotto ingenuo e buono d’animo, che attraverserà il mondo e vivrà mirabolanti avventure. La storia di Candido offre all’autore la possibilità di disquisire di filosofia e affrontare in modo diretto e puntuale la destrutturazione del pensiero leibniziano.



Dalla IV di copertina – La candida domanda “Perché esiste il male in questo mondo?” ha turbato i pensatori di tutti tempi. Se lo chiede anche Voltaire, in questo piccolo gioiello letterario e filosofico, senza trovare una risposta definitiva, anzi, lasciandoci con il sospetto che una risposta definitiva non esista affatto. Esempio unico di mirabile congiunzione tra ironia, inquietudine metafisica e perfezione stilistica, Candido racconta la storia di un ragazzo che vaga per nazioni e terre nuove e misteriose, affrontando le più diverse avventure. Conosce il dotto fanfarone Pangloss, con cui va incontro alla rovina: parla con religiosi, manichei, donne di facili costumi, scopre addirittura El Dorado. E nel corso del suo viaggio regala al lettore il piacere dell’arguzia unita alla forza dell’intelligenza.

voltaire1L’AutoreFrancois-Marie Arouet, che assumerà lo pseudonimo di Voltaire, nasce a Parigi nel 1694. Scrisse opere storiche, poemi epici, prose filosofiche e letterarie, versi d’occasione e libelli polemici. Divenne uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo. Conobbe la Bastiglia e l’esilio in Inghilterra ma poi tornò a Parigi dove morì nel 1778. Il suo capolavoro fu il Dizionario filosofico.




Stralci


Ho visto, nei paesi che la sorte mi ha fatto percorrere e nelle osterie dove ho servito, un’enorme quantità di persone che esecravano la propria esistenza; ma ne ho viste soltanto dodici metter fine volontariamente alla loro miseria; tre negri, quattro inglesi, quattro ginevrini e un professore tedesco chiamato Robeck.

***

La cattiveria degli uomini gli si mostrava in tutta la sua bruttura; si nutriva solo di idee tristi.

***

“Dovete avere, disse Candido al turco, una vasta e magnifica terra. – Ho soltanto venti jugeri, li coltivo con i miei figli; il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno.”

Candido, tornando alla fattoria, fece profonde riflessioni sulle parole del turco. Disse a Pangloss e a Martino: “Mi pare che quel buon vecchio abbia un destino migliore di quello dei sei re con i quali abbiamo avuto l’onere di cenare. (…) So anche, disse Candido, che bisogna coltivare il nostro giardino. – (…) Lavoriamo senza discutere, disse Martino, è il solo mezzo per rendere la vita sopportabile.”



La mia recensione



Voltaire scrisse quest’opera sotto anonimato, ma il romanzo fu ben presto attribuito a lui, perché “l’incomparabile esprit de Voltaire non poteva essere più dissimulato, poiché una ormai vasta produzione letteraria ed epistolare lo aveva reso celebre in tutta Europa”. (cit. Riccardo Campi nella Premessa)

Ma anche perché il modo di scrivere dell’autore è definito e netto, arguto e sagace che si riconosce subito. Concorcet nel suo Vie de Voltaire del 1791, scrive su Voltaire: “ha la sfortuna di sembrare facile, invece esige un talento raro, quello di saper esprimere in una battuta, in un lampo di fantasia, o attraverso gli avvenimenti stessi del romanzo, i risultati di una profonda filosofia, senza smettere di essere naturale, senza smettere di essere vero… Si deve essere filosofo, e non sembrarlo”.

Voltaire attacca l’approccio filosofico che “tutto è bene”. Dopo il disastroso terremoto di Lisbona del 1755 egli “cristallizzò nei freddi alessandrini in rima baciata del Poème sur le dèsastre de Lisbonine, nel quale, in un profluvio di vocativi e domande retoriche, egli esprimeva i propri dubbi sulla fondatezza dell’ottimismo metafisico di Leibniz e di Alexander Pope”. Candido è la summa di questa sua destrutturazione del pensiero filosofico di Leibniz. Nella filosofia ottimistica Voltaire, infatti, scorgeva non solo un ero acquiescente fatalismo, inteso a scoraggiare ogni umana attività in nome della provvidenziale immodificabilità dell’esistente, ma anche una delle solite imposture della “metafisico-teologo-cosmolonigologia” ovvero un “Romanzo metafisico” che egli sentiva come un oltraggio al bon sens e alla ragionevolezza, il quale aggiungeva alle “tante miserie e orrori (del mondo) l’assurda furia di negarle”. (cit. R. Campi)

L’autore quindi, con il suo arguto stile ironico, contro il quale nessuna coerenza sembra poter resistere attacca l’intero sistema filosofico (incarnato dalla figura di Pangloss) trasformando in macchietta la filosofia leibniziana che, di fronte alle sciagure, trasforma la realtà in ottimistica convinzione grazie a slogan che appaiono in tutta la loro componente grottesca.

Infatti, portando il suo personaggio, Candido nei “suoi viaggi attraverso il Portogallo e la Spagna, in Sud America, in Inghilterra, in Francia, a Venezia, gli incontri con personaggi diversi tra loro, ma per lo più sventurati quanto lui, il suo sodalizio con l’umile e assennato Cacambo e poi con il disilluso Martin, sedicente manicheo – senza diventare fredde allegorie o simboli veri e propri, sono figure o episodi che, prive di spessore realistico e psicologico e come ritagliate in una silhouette, si offrono a Voltaire quali bersagli ai dardi satirici della sua critica. Egli così può colpire in effige i pregiudizi e la stupidità.” (cit. R. Campi)

A chiusura di tutte le avventure del nostro eroe arriva la soluzione a tale interrogativo: “bisogna coltivare il proprio giardino”. Infatti, proprio come indicato da Riccardo Campi nella sua Premessa all’opera: “Sono queste forse le uniche parole del romanzo che non celino alcuna venatura ironica”. Darsi da fare, insomma, in operosità.

La forza di questo romanzo è tutta qui, come le parole di Campi sottolineano:

“Forse per la prima, e certamente per l’ultima volta nella storia della filosofia e delle letteratura, si è ricorsi in Candide alla più aperta comicità per affrontare uno dei temi meno ridicoli e divertenti che abbiano inquietato le indagini dei filosofi: la inconcepibile presenza del male in un mondo creato da un Dio benigno.”
Insomma… l’ho letto tutto d’un fiato! Candido è una figura ingenua e un po’ bambinesca, grazie a lui l’autore fa una critica feroce verso l’approccio filosofico del “tutto va bene” e quindi dell’immancabile fatalismo nell’approccio con le difficoltà della vita.

Le avventure di Candido sono esilaranti, a tratti spietate e di incredibile ferocia, ma nonostante tutto il protagonista arriva alla conclusione della sua storia con la stessa ingenuità con cui è partito. E, finalmente, trova la risposta alla sua domanda: per vivere bene occorre darsi da fare, perché il lavoro è il solo mezzo per rendere la vita sopportabile” e, forse, occupare il tempo per farsi meno domande!

Da leggere se amate la filosofia e la buona letteratura!


∼ Loriana ∼






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